PAROLE, PAROLE, PAROLE…

Parole omofone, omografe e omonime

Ricordi quella famosa canzone immortalata da Mina? Chissà se quando Giancarlo Del Re insieme a Gianni Ferrio e Leo Chiosso hanno composto questa canzone si fossero ispirati alla difficoltà che troviamo noi italiani (e non) ad avere a che fare con gli omofoni, omografi e omonimi inglesi. Mi sa proprio di no! Altrimenti mi sa che avrebbero dovuto comporre qualcosa di molto più complicato!


Bisogna ammettere che la lingua inglese può creare tanta confusione quando ci si mette. Ed è che ci sono molte parole che vengono pronunciate nello stesso modo, ma hanno significati diversi e ci sono addirittura alcune parole scritte esattamente nello stesso modo, che hanno la stessa pronuncia, e tuttavia hanno significati diversi!

In questo articolo analizzeremo uno ad uno ognuno di questi fenomeni. Impareremo a chiamarli per nome, a riconoscerli ed a trattarli come meritano. Insomma, vedremo innanzitutto cosa sono gli omonimi, sia omografe che omofone e grazie ad alcuni esempi capiremo quale che siano i corretti utilizzi e significati di alcune parole omonime, sia omografe che omofone (four/for, buy/by/bye, no/know, whole, hole, right...).

Alla fine della tua lettura sono certa che avrai acquisito una certa famigliarità con queste parole e, se questo non bastasse, avrai arricchito il tuo lessico. Un toccasana per migliorare nella lettura e nella scrittura in inglese! 


Omonimi, Omografi, Omofone… qualche definizione

Dicesi di parola «omonima» (homonyms) quella parola che ha diversi significati, ma si scrive sempre nello stesso modo. Un esempio di parola omonima potrebbe essere “bear”. Infarti, come bene saprai, bear significa orso, ma la stessa parola (con funzione di verbo) significa anche “sopportare”. Qualche esempio?
I’m so nervous about watching this game, I can’t bear to watch the last minute! (Sono così nervoso per questa partita che non riesco a sopportare la visione dell’ultimo minuto!). 


È così che si arriva facilmente agli omofoni (homophones), cioè a quei vocaboli che si pronunciano allo stesso modo di altri, in altre lingue, ma che hanno un significato diverso. Sono quelle che per capire quale che sia il suo giusto significato ci si deve affidare al ‘contesto’, ragione per la quale la comprensione diventa tutto tranne che immediata e fluida. È il caso della parola: “eight”, impossibile non sapere che significa ‘otto’ ma facilmente scambiata per “ate” (il passato del verbo eat, mangiare) quando viene pronunciata perché per l’appunto, hanno lo stesso suono. Solo quando vengono usate all’interno di una frase, grazie al contesto si può distinguere di quale vocabolo si tratta. Come quando dici: “ate a whole tub of ice-cream and now I feel sick.” Oppure “I woke up at eight o’clock this morning.”

A questo punto ritroviamo gli omografi (homographs). Qui si parla di vocaboli nei quali alla stessa grafia corrispondono due pronunce diverse. Troviamo come esempio calzante per questa categoria, e forse tra quelli che spiazzano di più a noi non native speakers, “tear”, che quando pronunciata /tɪər/ porta il significato di ‘lacrima’, mentre se la si legge come /teər/ acquisisce il significato di ‘strappo’ o ‘strappare’ se parliamo di verbo. Anche in questo caso, solo il contesto può venirci in aiuto.

Tra i principali omografi si distinguono due gruppi di parole: nel primo ci si posso trovare delle parole nelle quali la diversità di pronuncia è collegata alla diversa classe grammaticale, cioè parole che cambiano a seconda che siano usate come verbi, come sostantivi, come aggettivi o altro; al secondo gruppo appartengono invece vocaboli isolati.

Il primo gruppo però esige una maggiore attenzione perché è suddiviso in altre piccole categorie. Ci sono infatti:

a. I vocaboli che terminano con una consonante sorda /t s f θ/che quando si presentano come nomi o aggettivi, hanno la corrispondente sonora /d z v ð/ quando verbi. In qualche caso non c’è variazione nella grafia:

nome o aggettivo                                  verbo
close /kləʊs/                                                     close /kləʊz/

use /juːs/                                                             use /juːz/

In altri casi la diversa pronuncia è segnalata dalla grafia. Questi casi non rientrano quindi nel discorso sull’omografia in senso stretto ma è utile richiamarli anche qui:

nome o aggettivo                                     verbo

extent /ɪkˈstent/                                              extend /ɪkˈstend/
proof
/pruːf/.                                                  prove /pruːv/

teeth /tiːθ/                                                     teethe /tiːð/

Talora cambia anche la pronuncia della vocale:

 grass
 /ɡrɑːs/                                                   graze /ɡreɪz/
 bath
/bɑːθ/                                                        bathe /beɪð/

b. I polisillabi che terminano in -ate hanno la desinenza /-ət/ se sono nomi o aggettivi e la desinenza /-eit/ se sono verbi:

estimate.  /ˈes·tɪ·mət/                                       /ˈestimeit/


c. I vocaboli che terminano in -ment hanno la pronuncia /-mənt/ se sono nomi e /-ment/ se sono verbi:

implement /ˈimplimənt/                                   /ˈimpliment/


d. Molti bisillabi sono accentati sulla prima sillaba quando sono nomi o aggettivi e sulla seconda quando sono verbi:

 increase                 (n.) /ˈɪn·kriːs/                 (v.)  /ɪnˈkriːs/


e. Allo spostamento d’accento si accompagnano spesso variazioni nel vocalismo:


rebel                        (n.) /ˈreb·əl/                           (v.) /rɪˈbel/

f. Analoghe variazioni di accento si registrano in vocaboli trisillabi e quadrisillabi. I seguenti trisillabi hanno l’accento primario sulla prima sillaba quando sono nomi e sulla terza sillaba, con un accento secondario sulla prima, quando sono verbi:
interact, intercept, interdict, introvert, overflow, overhaul, overreach, overthrow, overturn, retrovert, underlay, underline, e altri.

Lo schema è il seguente:
 
interdict               (n.) /ˈɪn.tə.dɪkt/                 (v.) /ɪn.’tə.dɪkt/


g. I sostantivi come overdose, overdrive, overhang, overload, oversprint, overstrain, overweight, overwork, underplay e altri sono anch’essi accentati sulla sillaba iniziale; i rispettivi verbi hanno di solito due accenti primari, sulla prima e sull’ultima sillaba, come nel seguente esempio:

overdose             (n.) /ˈəʊ.və.dəʊs/              (v.) /ˈoʊ·vərˌdoʊs/

Un caso particolare è il seguente:

 attribute              (n.) /ˈæt.rɪ.bjuːt/                  (v.)  /əˈtrɪbjuːt/

h. I quadrisillabi counterbalance e overcolour hanno l’accento primario sulla prima sillaba e secondario sulla terza quando sono nomi; i verbi hanno l’accento primario sulla terza e secondario sulla prima:

overcolour          (n.) /’əʊvəˌkʌlə/                (v.) /ˌəʊvəˈkʌlə/



Per quanto riguarda il secondo gruppo, ne formeranno parte tutti quei vocaboli che non rientrano nei casi descritti sopra.

row /rəʊ/ fila; remo, remare.                                    /raʊ/ lite, scenata
bow /bəʊ/ fiocco, arco; nodo                                      /baʊ/ inchinare, fare un inchino


Ovviamente ci sono altri  termini ancora che appartengono alle diverse categorie : omonimi, omografi, omofoni.

Di seguito ti propongo delle liste (per gentile concezione di PURLANDTRAINING.COM)  più dettagliate che puoi scaricare in formato Pdf, non perché siano studiate a memoria, io lo sconsiglio sempre, ma perché tu possa esercitarti in maniera di impararle con l’uso e contestualizzandole.






La lingua inglese può risultare particolarmente strana ed insidiosa a volte, ma credimi se ti dico che risulta altrettanto strana e confusa perfino per i madrelingua. Ed oltre ad esserci loro, gli omonimi, omografi ed omofoni come fonte di confusione, ci sono anche i phrasal verbs. Ho dedicato un articolo esclusivamente tutto per loro, ti consiglio di darci un’occhiata da qui. Per il resto, ricordati che la pratica lo può tutto quindi… practica… practica… practica.

Pubblicato da corsiling

Marcela Mingrone, argentina di Buenos Aires, ufficialmente è una insegnante d'inglese ed ufficiosamente una traduttrice. Nata e vissuta nel suo paese nativo per i suoi primi anni di vita, si trasferisce in Italia, paese che tuttora l'accoglie e che lei ha fatto casa sua. dopo i suoi studi sulla lingua inglese. e durante il suo percorso come insegnante, prova sulla propria pelle cosa vuol dire imparare ed insegnare con metodi tradizionali, sinonimo, nella maggior parte dei casi, di corsi noiosi e perfino austeri, ottenendo come risultato apprendimenti faticosi ed inefficaci. È così che nasce una tecnica di insegnamento tutta sua. Portando la sua esperienza come allieva e la sua capacità come insegnante, si dedica ad educare. grandi e piccini, servendosi del divertimento, tuttavia senza tralasciare l'importanza e la qualità dei contenuti. Consapevole di non poter insegnare la lingua inglese come lo farebbe un nativo anglosassone, la sua tecnica si focalizza su tutte quelle difficoltà che un italiano deve affrontare quando si affaccia all'apprendimento di questa lingua, capendo ed anticipando quelli che possono essere gli ostacoli durante lo studio, e proprio perché affrontate da lei stessa nel proprio percorso formativo.